Il carattere di un luogo è determinato da come le cose sono, ed è fondamentale per la comprensione delle dinamiche che quotidianamente caratterizzano la vita in un luogo. Per abitare veramente un luogo è necessario comprenderne a fondo il genius loci, ovvero lo spirito che lo caratterizza (Norberg-Schulz). Solitamente gli insediamenti che, come Marina Romea, sono organicamente collegati al loro ambiente, fungono da punti focali in cui il carattere ambientale viene condensato ed esplicitato.
Le case singole, i villaggi, le città sono opere dell’edificare che radunano all’interno e all’intorno il molteplice in “inter”. Le cose edificate avvicinano all’uomo la terra come paesaggio abitato e allo stesso tempo collocano sotto la volta del cielo l’intimità dell’abitare insieme. (Heidegger)
Il carattere di uno spazio vissuto è quella proprietà che ne denota l’atmosfera, e che può essere come nel nostro caso funzione temporale, ovvero mutare con le stagioni, principalmente in correlazione al mutamento delle condizioni diverse di luce, che filtra attraverso la vegetazione viva e permea l’abitato creando diversissime condizioni tra l’estate, splendente, e l’inverno, dove massima è la commistione tra luce e nebbia.
Abitare non è quindi solamente questione di localizzazione, ma di esposizione al carattere dell’ambiente: tolto il più evidente orientamento negli spazi che diventano propri, l’uomo deve essere in grado di identificarsi con l’ambiente, facendone conoscenza. L’orientamento passa attraverso le strutture spaziali, che costituiscono una immagine in grado di trasmettere una profonda sicurezza emotiva (K. Lynch). L’identificazione invece consiste nell’essere amici dell’ambiente e nell’apprezzarne le caratteristiche. Nonostante sia sempre più diffuso per il cittadino moderno essere amico di cose create dall’uomo, a Marina Romea è ancora possibile impostare i propri schemi percettivi facendo esperienza della sabbia, della pineta, del mare, della nebbia e del sole. Essere amici della terra e della natura.
I luoghi richiedono di avere una struttura e una identità coerenti con l’immagine ambientale, che rendano leggibili tali luoghi, ovvero chiaramente distinguibili, e figurabili, quindi vigorosamente evocabili nell’immaginario dell’osservatore, possibilmente associando anche un significato di tipo pratico o emotivo legato all’esperienzialità personale.
Non sono quindi buoni assetti urbanistici quelli il cui disegno manca di singolarità, semplicità di forma, continuità tra gli elementi, di gerarchie ordinate di alcune parti su altre e che propongono, invece, un appiattimento incoerente e scelte progettuali discontinue.
Il nostro paese è percepibile come prettamente orizzontale, con una volta di folte chiome che delimitano lo spazio superiore, precludono la vista del cielo e accentuano la longitudinalità dell’assetto urbanistico. Marina Romea è un paese stretto tra la valle e il mare: la Pialassa della Baiona da un lato e la Pineta Staggioni dall’altro. Sono questi i margini di Lynch: “sono gli elementi lineari non considerati percorsi”, che funzionano come riferimenti laterali e acquisiscono forza e identità se continui e con una forte direzionalità. I margini non devono essere necessariamente considerati come barriere o “confini” tra fasi diverse, ma possono essere percepiti come “suture unificanti” che relazionano tali fasi. Le nostre fasi sono proprio la valle, il paese e la pineta con la sua spiaggia. I percorsi da identificare entro tale assetto devono garantire l’orientamento e l’efficienza del disegno urbano, essendo proprio i percorsi il più importante elemento di percezione da parte dei cittadini. È poi necessario che l’intersezione tra percorsi dia luogo a nodi, fuochi strategici che risultano assenti o scarsamente caratterizzati nella nostra località.
La direzione orizzontale è quindi esperita come pura estensione, e combinata alla linearità dell’assetto urbanistico rende preponderante tale aspetto. Gli unici elementi di verticalità, fatto salvo per alcuni edifici estranei, sono gli stessi fusti sottili e allungati dei pini che sovrastano larga parte della località.
L’agglomerato è spazialmente organizzato attorno a una direttrice litoranea nord-sud, ma non presenta propriamente un assetto a griglia: sebbene apparentemente si tratti di uno spazio severamente geometrico sul modello romano di cardo-decumanus, il paese si presenta anisotropo e non permeabile allo stesso modo nelle due direzioni ortogonali. Il decumano è stato forzatamente introdotto con la creazione della Rotonda delle Dune Marine e coincide in linea teorica con Viale Ferrara. Su questo punto in particolare sembra puntare l’Amministrazione con l’introduzione del nuovo PGTU, atto a disincentivare i trasferimenti veicolari da levante a ponente, fatto salvo per alcune direttrici privilegiate, tra cui spicca appunto Viale Ferrara, inserita come viabilità portante per la circuitazione interna. Le altre parallele vengono principalmente depotenziate e riservate alla mobilità dolce, in chiave ecosostenibile. Molto è necessario fare per ricucire il tessuto urbano della nostra località ed impostarne un disegno generale in grado di fare giustizia alle intenzioni originali, adattandole alle esigenze e alle buone pratiche del mondo contemporaneo. Nonostante questo assetto viabilistico, lo spazio si presenta comunque come classico, coniugando la cosmicità di uno spazio severamente geometrico, caratterizzato da formalità e ordine, con il più classico rapporto di convivenza tra uomo e natura, dove lo sguardo non si perde verso l’infinito, ma ingenera anzi una sensazione di intimità con l’ambiente. Sono individuabili anche motivi caratteristici, che accomunano famiglie di edifici. Sono ad esempio riscontrabili nelle urbanizzazioni meno recenti elementi ricorrenti, come gli infissi e le decorazioni lignee, che riprendono l’elemento naturale dominante all’interno del centro abitato.
Oggi l’uomo sembra vivere nella convinzione che scienza e tecnologia lo abbiano liberato da una dipendenza diretta dai luoghi. Questo è tanto più visibile laddove sono recenti le urbanizzazioni, soventemente caratterizzate dall’edificazione di edifici dalle linee moderne e non integrate nel paesaggio, che si stagliano brutalmente in nome di una modernità che cela l’incapacità di mantenere coerente l’architettura con l’essenza del luogo. Così si passa da edifici -anche plurifamiliari- intricati e connotati da un’attenta scelta dei volumi e dei prospetti, a sterili villette a schiera; dai tetti a falda, agli insignificanti lastrici solari; dai colori luminosi, al grigiore freddo e padano delle tinte “moderne”. La certezza in questa indipendenza dal luogo è in realtà una grande illusione: il caos ambientale delle città, l’inquinamento, il rumore, appaiono improvvisamente a sempre più persone come una nemesi, ricordando invece la necessità di mantenere in primo piano le caratteristiche del luogo necessarie a una serena vita. A quanti invocano l’abbattimento di alberi, reputandoli incompatibili con lo spazio urbano poiché colpevoli di possedere un apparato radicale, vorrei ricordare non soltanto che le piante non sono senzienti, al contrario dell’Amministrazione deputata a una corretta manutenzione del patrimonio verde; ma anche che laddove si dovesse procedere sistematicamente con il deturpamento delle nostre strade, la rimozione del verde porterà inevitabili innalzamenti di temperatura, maggiore soleggiamento, riduzione della biodiversità e cancellazione dei caratteristici cinguettii degli uccelli e del frinire delle cicale a favore del ronzio ininterrotto dei climatizzatori. È questo il trionfo della modernità che tanto bramiamo?